di Zeno Bianchini
12 Dopo la guerra al terrorismo degli USA con Iraq e Afghanistan e prima del recente conflitto fra Russia e Ucraina, il fronte più selvaggio si trovava in Siria. Parliamo di una guerra iniziata nel 2011 e continuata per dieci anni prima della stabilizzazione in una pace apparente: ancora oggi la regione a Nord, quella più ricca di risorse, è occupata illegalmente da forze straniere, mentre l’intera nazione è sottoposta all’embargo imposto dall’Occidente. Il costo di questo conflitto è stato di quasi 500.000 vite umane.
Lasciamo agli esperti di geopolitica le complesse analisi di tipo economico e sociale; in questa sede non ci addentreremo in simili dettagli. Gli articoli a riguardo abbondano, se il lettore è interessato a un approfondimento; tuttavia, ci teniamo a sottolineare che la maggior parte dell’inchiostro utilizzato dai giornalisti sul conflitto non esprime adeguatamente la situazione.1
Visitando Damasco ci si trova in un luogo le cui ferite ancora aperte grondano sangue, questo balza agli occhi. I segni dei bombardamenti a edifici storici e civili, il continuo susseguirsi di posti di blocco militari armati in ogni angolo della città, il volto di Bashar al-Assad dipinto su tutti i muri e stampato sulle banconote come monito al suo popolo evidenzia com’è tuttora lontanissimo un cambio di marcia nel governo: sono dettagli eloquenti di come questo paese sia ancora in grande pericolo.
Per i siriani, sul conflitto non ci sono dubbi: il vero nemico ha le sembianze univoche degli Stati Uniti. Se la guerra ha coinvolto il califfato dell’ISIS, l’Iran, la NATO, la Russia e, ovviamente, l’esercito siriano stesso in un complesso scambio di fronti, e se ancora oggi sono sottoposti all’embargo, la colpa è solo dello zio Sam.
Per quanto l’orrore della guerra, con i suoi morti e la sua distruzione, abbia inferto duri colpi al corpo dei siriani, non da meno sono quelli subiti dallo spirito, piegato subdolamente dal blocco del commercio. Un paese al quale è interdetto l’acquisto del vetro e dei mattoni non può ricostruire i propri edifici abbattuti, e lo stesso ha anche
difficoltà nella coltivazione dei terreni e nell’allevamento del bestiame, perché le proprie regioni fertili sono occupate abusivamente da potenze straniere. Ne consegue, ovviamente, la fame.
Mentre noi oggi in Italia e in Europa stiamo sperimentando una goccia di questi problemi – legati all’energia e alla produzione e raccolta di risorse basilari come il cibo e l’acqua – e nonostante tutto ci lamentiamo, in Siria soffrono di blackout da anni ed è il minore tra gli ‘inconvenienti’ patiti, e il popolo siriano ha dimostrato una volontà incrollabile nella tutela del proprio orgoglio nazionale.
Ci è stato raccontato di un paese fondamentalista, ultra-religioso, dove l’Islam dell’ISIS godeva di un discreto sostegno, dove le donne sono oppresse e le altre religioni disprezzate. Non avremmo potuto trovare nella capitale un mondo più diverso dalle usuali rappresentazioni. Chiese e moschee convivono nei medesimi quartieri,
il canto del muezzin si confonde con le preghiere che provengono dalle ricche chiese ortodosse. Le ragazze giovani, vestite all’occidentale, ostentano ombelichi e gambe scoperte, ma nei loro gruppi non mancano anche donne velate in modo tradizionale o con dei semplici jeans.
Da un lato, parlando con le persone, queste usanze occidentali hanno parzialmente eroso la loro identità, dall’altro ci raccontano l’autentico spirito di un popolo che riscopre una grande unione nonostante la tragedia che infuria tutt’intorno. Proprio le donne, inoltre, giocano un ruolo fondamentale nei luoghi di lavoro: le si immagina
destinate a mansioni tradizionali quando,al contrario, occupano posizioni nei palazzi di potere come ministri e viceministri, ma sono anche giornaliste, scrittrici, pittrici, fotografe, e svolgono tra l’altro lavori in ogni altro ambito della vita più comune, come in hotel e ristoranti.
Persino all’interno degli ambienti più tradizionali queste alchimie fra le diverse culture non mancano. Nella Grande Moschea degli Omayyadi, principale edificio di culto di Damasco, nonostante perduri la separazione fra uomini e donne (qui rigorosamente velate), i bambini scorrazzano liberi senza che si rinunci a un rigoroso silenzio. E proprio al centro della sala della preghiera, riposa la tomba di San Giovanni Battista, uno dei più importanti e cari protagonisti della religione cattolica.
Attorno alla moschea si estende poi il mercato Al-Hamidiyah Souq, il bazar più grande di tutta la Siria. Anche questo, sebbene non esente dalla tradizione tutta moderna del souvenir e quindi carico di chincaglieria per turisti, offre anche cibi tradizionali, come frutta secca e datteri, tessuti splendidi e hookah (da noi più comunemente conosciuto come ‘narghilè’).
Dal punto di vista culturale, l’eredità archeologica di Damasco è incomparabile. La città, fondata ben 11.000 anni fa, è ritenuta, assieme a Gerico in Cisgiordania, la più antica del mondo fra quelle ancora abitate. All’interno del Museo Nazionale di Damasco sono conservate le ancestrali testimonianze dell’uomo primitivo, assieme a reperti che raccontano le numerose civiltà che vi sono transitate – dai Romani ai Persiani, dai Greci ai Mongoli. Uno dei
grandi problemi legati alla recente guerra è stato quello della distruzione e della contraffazione dei manufatti, sia per umiliare l’identità siriana, sia per finanziare il conflitto. I soldati autoctoni hanno difeso con la vita queste ricchezze e gran parte dello scontro si è concentrato sulla protezione di templi, grotte, santuari e piazze.
Ma della cultura siriana costituisce il fondamento,oltre all’anima antica di Damasco,anche l’università, importante luogo di scambio e di confronto, dove spiccano le facoltà scientifiche di informatica e medicina, con professionisti che operano in tutto il mondo.
Anche il maestoso Teatro dell’Opera della capitale dona un ampio respiro artistico alla quotidianità dei siriani. Nonostante il suo precedente direttore sia fra le vittime della guerra, tragicamente colpito da un missile al termine di una comune giornata di lavoro, oggi il teatro trabocca di spettatori a ogni spettacolo e, così come successe durante i bombardamenti sulla capitale, il biglietto per la prima fila costa meno di un euro 2 – scelta attuata quale incentivo alla sua frequentazione da parte dell’intera collettività – senza distinzioni sociali o anagrafiche, in nome di una cultura come risorsa a disposizione di tutti. Ricordiamo uno degli sbalorditivi mezzi a disposizione del teatro, cioè l’immenso organo posizionato nella sala principale, un esemplare unico e splendido le cui note riempiono lo spazio fra sé e il pubblico, dando vita a un’esperienza sonora ineguagliabile. La rarità di questo strumento dipende dalla sua mobilità: è infatti trasportabile dal retro all’interno della sala, senza ostruzioni per il teatro. Eppure, anche questo capolavoro della meccanica richiede un costo di manutenzione elevato e, sempre a causa della guerra e dell’embargo, rischia un tragico smantellamento per via delle ragguardevoli dimensioni che ne ostacolano l’imbarco e l’eventuale cessione a titolo oneroso. La visita di Argentodorato Editore a Damasco, unitamente all’Ambasciata Culturale dell’Associazione italo-araba Albundukyaa Assadakah di Venezia, si è svolta perseguendo la costruzione di un ponte fra i due mondi, oggi così apparentemente distanti, ovvero la cultura mediterranea e quella araba. In realtà abbiamo scoperto come questa distanza sia solo una fitta nebbia artificiale il cui scopo sembra un cosciente allontanamento dei popoli, quando invece sarebbe molto più proficua la loro unione. È davvero desolante la consapevolezza di quanto l’informazione su questi luoghi, e chissà quali altri, giunga a noi spesso frammentata e, anzi, addirittura corrotta nei contenuti; sembra che oggi, nonostante le apparenti potenzialità comunicative offerte da internet, il solo modo per una piena percezione della verità sia la visita materiale, unico mezzo per emendare l’acritico ascolto delle narrazioni esterne.
1 In ogni caso, consigliamo la lettura degli articoli di Pecqueur e Haski, citati anche in bibliografia.
2 Ceriani Riccardo, “Suonare a Damasco sotto le bombe”, Giornale della Musica, aprile 2018.